sabato 3 agosto 2013

SONATINE (Takeshi Kitano - 1994 -)



Murakawa (Kitano), un gangster indolentemente ignavo (fastidiosa ed emblematica la scena in cui assiste apatico ad uno stupro), viene spedito nell'isola di Okinawa per sedare un presunto regolamento tra clan.
Finirà in trappola non prima di aver riflettuto sul senso della sua esistenza, che forse trappola lo era già. 


E la trappola come essenza e metafora gioca una parte protagonista in questa pellicola.
Trappole tende Kitano, sia ai suoi compagni di fuga mimetizzata che allo spettatore, perennemente sollecitato tra gioco ed efferatezze, trappole vengono tese agli attori ed alle loro interpretazioni, di continuo in bilico tra commedia e dramma, urlo e sorriso.
L'anima del Takeshi's Castle contamina a più riprese la sensibile birbanteria kitaniana ed infonde quel senso di sgomento e difficoltà nel catalogare un cinema che non vuol smettere un attimo di stupire. 


In Sonatine avvertiamo parentesi di poesia e gaia cinematografia certo debitrice all'amore per le geometrie e per gli spazi che respirano.
I dettagli di movimento (i quattro che camminano equidistanti sulla spiaggia) e di camera fissa, i lenti piani lunghissimi alternati a flashes di pura e magica fotografia (i due ragazzi vestiti da danzatrici in meditabondo silenzio sotto il cielo notturno che dipinge riflessi di luna sui tetti), non si contano.
Le splendide musiche fanno da azzeccatissime protagoniste, come in una delle scene di grandissimo cinema, dove il gioco del sumo tra figurine di carta viene riprodotto in spiaggia con eccentrica e fascinosa genialità.



Ciò non toglie che abbiamo dovuto aspettare Zatoichi per ritrovare il Kitano che se la spassa e che poeteggia insieme, da par suo, con un'acrobatica macchina da presa attenta ai silenzi ed alle ombre come ai lazzi ed alle suggestioni.   


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